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PADRE UMBERTO PIETROGRANDE

Chi era

Padre Umberto

Umberto Pietrogrande era un giovane di grande personalità, laureatosi in Giurisprudenza all’Università di Padova, per anni fortemente impegnato nell’Azione Cattolica diocesana. La sua sensibilità religiosa  e fermezza di carattere lo portò a prendere la via del sacerdozio nell’Ordine dei Gesuiti, con la prospettiva di un servizio pastorale in un Paese in forti fermenti sociali e politici come lo era il Brasile nella metà degli anni ’60.

I suoi amici erano prevalentemente studenti o giovani laureati come lui, di forte impegno cattolico, ben aperti alle stimolazioni. Una buona parte di essi ebbe modo di ricoprire ruoli di un certo prestigio in ambito universitario, istituzionale, amministrativo, politico e culturale nella città di Padova. Essi risposero positivamente e concretamente alle attività che l’amico Padre Umberto stava promuovendo in Brasile.

Cos'ha fatto

Nel 1967 Padre Umberto, incardinato in una Diocesi del sud del Brasile ma operativo nella città di Anchieta, sede del cinquecentesco santuario dedicato al gesuita Santo Josè de Anchieta, nello Stato dell’Espirito Santo, sollecita un gruppo di amici italiani a collaborare per migliorare la situazione socio-economica di quel territorio, colonizzato da emigranti veneti e trentini giunti tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Prenda così vita l’Associazione Amici dello Stato Brasiliano Espirito Santo (AES)  con sede a Padova.

Da quel momento promuove e modernizza l’agricoltura, la principale attività economica dello Stato dell’Espirito Santo. Punta nella formazione dei giovani attraverso l’attivazione di Scuole Famiglia Agricole di tipo francese, basate sulla Pedagogia dell’Alternanza, dove gli allievi restano a lezione per un paio di settimane e per altrettante ritornano in azienda con un tutor.

Nel 1968 nasce il Movimento Educativo Promozionale Espirito Santo – MEPES che incarna il pensiero di Padre Umberto e degli amici padovani.

L’emigrazione italiana e veneta, in particolare, in quella parte del Brasile, è caratterizzata dalla presenza di famiglie contadine, particolarmente coese e affidabili, disponibili a diffondere nozioni tecniche per la coltivazione innovative quali il caffè, il banano, il riso.

Oltre alla intensa e ricca esperienza in Espirito Santo con la fondazione del Mepes, a partire dal 1988 Padre Umberto promuove una analoga esperienza nel Nord-Est, nelle periferie di Teresina, capitale dello Stato brasiliano del Piaui.

In quel territorio la Fondazione Padre Antonio Dante Civiero (FUNACI) promuove uno sviluppo autogeno. Nascono scuole famiglia agricole, asili per bambini, un ospedale, centri di salute, scuole professionali e varie altre attività in un’area tra le più povere del Brasile.

Nel 1972 il Ministero degli Affari Esteri Italiano riconosce ad AES la qualifica di Organizzazione Non Governativa (ONG) che le consente di accedere ai finanziamenti per la Cooperazione Internazionale erogati dal Ministero degli Affari Esteri, dell’Unione Europea, di vari Enti pubblici e privati, per avviare progetti umanitari negli Stati del Brasile e in altri Paesi del Sud del mondo.

La sua eredità

Padre Umberto è mancato nell’agosto 2015, lasciando un’eredità di innumerevoli opere fondate su un messaggio ancora valido:

Qualsiasi sia la finalità di un progetto, vanno privilegiate tutte le azioni che promuovono le persone e le comunità locali in una logica di interscambio, ciò che mette in moto reali percorsi di sviluppo.

In tale contesto vanno visti tutti gli sforzi che concorrono alla crescita della persona umana attraverso le creazione di opere che li rendono possibili (una scuola, una coltura, la costruzione di una chiesa) Essi possono incidere infatti sulla povertà, sull’arretratezza e sul comportamento delle popolazioni favorendone lo sviluppo.

Incontrarsi per conoscersi
Conoscersi per camminare insieme
Camminare insieme per crescere
Crescere per amarci di più
Padre Umberto Pietrogrande icona
Umberto Pietrogrande
Padre gesuita

Padre Umberto, padovano, cresce in una bella famiglia numerosa e negli studi segue le orme tradizionali, si laurea in giurisprudenza ma contemporaneamente è impegnato in parrocchia, nell’Azione Cattolica, diventando presidente regionale della gioventù. Giovane avvocato difende nella sua prima causa una giovane violentata. Ma il Signore ha altre strade per lui e così lo chiama a diventare sacerdote. Con sorpresa di tutti quelli che lo conoscono entra nella Compagnia di Gesù: noviziato a Lonigo, filosofia a Gallarate e teologia a Sᾶo Leopoldo, nel Sud del Brasile. Da qui, durante le vacanze estive, coi suoi compagni di studio, risale verso il Nord-Est per raggiungere le comunità della provincia Lombardo-Veneto alla quale appartiene. Prima tappa è nello Stato di Espirito Santo dove i gesuiti seguono la popolazione di 5 parrocchie coi loro numerosi villaggi. Qui scopre che una grande percentuale della gente locale ha origini italiane, soprattutto venete, da dove i loro avi erano partiti alla fine del 1800 in cerca di fortuna. Ma la fortuna, tranne che per pochi, non era stata generosa con loro dove ancora i discendenti vivevano con difficoltà, lavorando con fatica la dura terra, senza centri di assistenza per la salute, per l’agricoltura, per la scuola.

Ogni estate torna tra quella gente che impara ad amare e ad essere amato. Completa gli studi, viene ordinato sacerdote e inviato proprio nell’Espirito Santo. Lui sogna per quella gente uno sviluppo globale, umano, lavorativo, sociale, intellettuale, spirituale. La sua guida è la “Popolorum progressio”. Non lascia mai questo libretto fino alla fine dei suoi giorni. Lo consulta in continuazione, lo sa a memoria, lo cita sempre. Si mescola tra la gente, programma incontri formativi, coinvolge i leader locali, li riunisce discutendo con loro problemi delle comunità sparse sulle colline e montagne tra i bananeti, e li stimola a ricercare le soluzioni. I leader eletti scoprono che lavorando in sintonia con i leader dei municipi limitrofi, riescono a realizzare servizi migliori per la popolazione e la gente in generale mette a fuoco il bisogno di scuola per i figli e di centri per la salute.

Padre Umberto coinvolge anche gli amici padovani che decidono di fargli visita, occasione per farli incontrare coi leader ufficiali e non, dei 5 municipi. In comune un poco di dialetto veneto e così riescono a comunicare. Rispondendo al bisogno di scuola, mettono a punto la metodologia delle Scuole Famiglia Agricola, in funzione in Italia fino alla riforma scolastica che ha poi trasformato queste in Istituti Tecnici. La gente dei villaggi individua 7 giovani che possono recarsi in Italia per frequentare tali scuole ed apprendere la metodologia, più due giovani donne, col compito di avviare interventi di animazione e orientamento nei villaggi stessi.

Padre Umberto ha in mente uno sviluppo globale: scuola per l’infanzia, scuola per i giovani agricoltori che li aiuti a migliorare le produzioni locali applicando conoscenze e tecniche appropriate e migliorate, salute per tutti e soprattutto per le partorienti e la prima infanzia, commercializzazione dei prodotti evitando lo sfruttamento da parte degli intermediari, promozione del rapporto giovani-adulti, famiglie-comunità, gente semplice e leader politici coi quali intrattiene un dialogo continuo spesso imponendo loro di far visita alla popolazione non solo per far propaganda, ma per mantenere le promesse fatte in clima elettorale.

Per poter meglio agire fonda il MEPES (Movimento de Educaçao Promocional do Espirito Santo) e in Italia l’AES (Associazione degli amici dello Stato Brasiliano dell’Espirito Santo). Siamo negli anni ‘60, in Brasile vige il duro regime militare, ma lui non ha paura. Sa come muoversi, si circonda di amici fidati, di buoni consiglieri. La sua formazione giuridica lo aiuta ad orientarsi senza commettere passi falsi, ma senza dar segni di sottomissione. Si batte per assicurare i diritti umani a chi è stato ingiustamente colpito dal regime e perché la “sua gente” abbia sempre più coscienza della propria dignità, dei propri diritti e doveri affinché possa avere “Vita piena e in abbondanza”.

Tornano in Brasile i giovani brasiliani assieme a tre italiani e avviano le Scuole Famiglia Agricole (EFAs). I genitori vogliono che anche le ragazze possano studiare e così viene avviata anche la EFA per le ragazze.

In pochi anni le EFAs vengono aperte anche nel Nord dello Stato e poi negli Stati limitrofi. La popolazione comprende che è un sistema vincente per l’educazione dei figli di agricoltori, molti di questi giovani non desiderano più emigrare verso le metropoli, ma vogliono migliorare le tecniche di produzione, vogliono rimanere nel loro ambiente ma a condizioni migliori che loro stessi aiutano a creare. I genitori e la popolazione dei villaggi intuisce che qualche cosa sta cambiando nelle loro famiglie, nelle comunità, e ne sono contenti, partecipano e danno spazi alle nuove generazioni. Ben presto le EFAs si aprono in altre provincie, altri Stati, ma non più a carico del MEPES, ma con forze proprie dopo che alcuni giovani si sono preparati al MEPES. Nascono associazioni di genitori e cooperative. Non tutto riesce a funzionare perfettamente, ma il cammino è stato tracciato e la popolazione locale è in cammino. Per le comunità rurali migliorano le vie di comunicazione, l’elettrificazione dei villaggi, l’avvio di servizi per la salute attraverso gli interventi mirati all’educazione sanitaria, alla prevenzione, alla nutrizione. Ad Anchieta viene aperto l’Ospedale di primo livello che negli anni diventa sempre più strutturato e vede aumentare il numero degli assistiti, dei ricoverati, degli interventi chirurgici. Cambia il regime politico, si dissolve il clima di terrore e la popolazione è sempre più partecipe al proprio miglioramento. Vuole molto bene a Padre Umberto, sa che da lui è partita la spinta che sta modificando la loro vita in modo positivo. Quando si reca nei villaggi è sempre accolto con tanta gioia. La gente lo vorrebbe sempre presente. Ma il voto di obbedienza gli impone un cambiamento radicale. I suoi superiori decidono di inviarlo nel Piaui, a Teresina, nel quartiere di Socopo come parroco di una numerosa popolazione disseminata in un vasto territorio. E così dopo 20 anni di duro lavoro nell’Espirito Santo fa la sua piccola valigia, prende l’autobus e va verso la sua nuova destinazione; terra molto più arida e difficile, abitata da una popolazione di etnia completamente differente della precedente. Ma non si perde d’animo, rimbocca le maniche e con lo stesso spirito di servizio da inizio alla sua attività pastorale e sociale. Qui non ci sono più i piccoli proprietari terrieri, ma imperano i grandi latifondisti che hanno potere di decidere come e quando vogliono sulla vita dei braccianti e sulle famiglie che lavorano al loro servizio. Qui, da astuto avvocato, capisce che deve cambiare la sua maniera di rapportarsi coi leader politici e coi latifondisti, capisce che in gioco è la sua stessa vita se vuole testimoniare con lo stesso metodo adottato nell’Espirito Santo l’Amore di Dio verso tutte le creature, specie le più bisognose. Per avviare nuove EFAs pochi sono i proprietari di terre che concedono gratuitamente spazi per costruirvi aule e convitti, e di nuovo ricorre agli amici italiani e agli insegnanti del MAGIS per ottenere finanziamenti e competenze professionali. Davanti alla nuova realtà dei “senza tetto”, scacciati dalle terre dei latifondisti, introduce il modulo degli “assentamentos”, villaggi di semplici costruzioni dove ogni occupante si impegna a lavorare parte di terreno per conto proprio e parte in comunità, dividendo poi gli utili. Non dimentica i più piccoli e così nascono “creches”, scuole materne che vedono giovani locali impegnate a prendersi cura dei più piccoli. Nascono cappelle semplici ma in muratura che sostituiscono quelle crollanti di paglia, promuove incontri tra i leaders dei vari villaggi affinché assieme scambino opinioni, individuino i problemi e cerchino le soluzioni. Ottiene finanziamenti per avviare un ospedale rurale che in breve tempo viene affollato da una popolazione dolorante che finalmente trova una sede appropriata per la cura della propria salute. Sicuramente la sfida nel Piauì è stata più dura, ma lui non si è mai dato per vinto, ha saputo combattere con saggezza ed equilibrio, rischiando personalmente e soffrendo, cercando di coinvolgere rappresentanti locali, leader e politici per il bene della popolazione. Ma Padre Umberto non è stato solo un acuto manager, un astuto avvocato, un saggio comunicatore sociale, è stato un papà per chi lo avvicinava in cerca di aiuti, ma soprattutto è stato un buon pastore, un direttore spirituale, un prete umile che sapeva incontrare i poveri, che si lasciava avvicinare anche dai più semplici e diseredati, che non ostentava superiorità, che aiutava a pensare, a meditare, a riflettere, e qualsiasi occasione era buona per introdurre gocce di saggezza, di speranza. Ecco, è proprio questo di cui ho potuto godere; nei cinque anni che ho lavorato fianco a fianco con lui, ed anche dopo nelle visite periodiche che facevo in Brasile, mi sono arricchita delle sue riflessioni che faceva a tavola, in macchina, nei momenti liberi, durante le omelie, dove coinvolgeva chi era presente a saper comprende l’amore di Dio per ogni Sua creatura e ad agire di conseguenza.

Ora è lassù in paradiso che ci guarda e intercede per tutti noi: per la sua gente che tanto amava, per i suoi nipoti di cui mi parlava di frequente, per i suoi amici, per i vari benefattori che lo hanno aiutato ad essere strumento di Dio tra le popolazioni meno fortunate, per i suoi confratelli gesuiti, e per i prepotenti che non l’hanno compreso e lo hanno fatto soffrire.

Carissimo Amico (a),

[Scrive da un ritiro spirituale a Caraça, dove ha potuto riflettere sulle ultime tappe della sua vita].

E il MEPES è tornato presente: il MEPES di oggi e il MEPES di ieri, il MEPES bambino e il MEPES in fase di gestazione. Perché se il MEPES è nato ufficialmente il 26/4/1968 (e oggi ha quindi 11 anni), la sua gestazione è stata piuttosto lunga ed è cominciata nel Natale 1963.

[..]

Vediamo qual è stata la preistoria, come si è presentata a me, giovane gesuita italiano, appena arrivato in questa terra capixaba, sua nuova patria.

Visitando con curiosità le comunità dell’interno, sono rimasto impressionato dalla presenza del peccato. Ho incontrato un popolo buono, onesto, lavoratore, saggio, religioso, che stava pagando ingiustamente le conseguenze del peccato di altri.

L’ingiustizia dominava, imperava. La nostra società progressista del XX secolo, con le sue meravigliose scoperte tecniche e scientifiche, confinava ancora il popolo in una situazione di miseria. […]. Quegli agricoltori che vivevano abbandonati e isolati nell’interno erano le vere vittime della nostra società. Ai giovani che incontravo numerosi nelle celebrazioni in varie chiesette dell’interno e che nei loro sguardi vivi manifestavano un’intelligenza e un’energia vitale fuori dal comune, si negava il diritto fondamentale di crescere, studiare, di diventare uomini liberi e indipendenti. Le poche scuole esistenti, oltre a essere insufficienti, non preparavano alla vita e offrivano un insegnamento lontano dalla realtà, che allontanava dalla vita agricola. I pochi che potevano studiare pagavano un prezzo altissimo: abbandonare la famiglia, la terra, i campi e iniziare un’avventura sconosciuta. Quanta violenza alla vocazione specifica di ognuno!

E l’agricoltore? Completamente abbandonato, senza risorse, senza orientamento, isolato, disprezzato, insultato, ingannato da tutti quelli che sfruttavano il suo lavoro perché avevano bisogno dei suoi prodotti, usando la sua onestà per arricchirsi sempre più.

Le comunicazioni erano difficilissime. Le strade quasi non esistevano e i giovani vivevano in un “buco”. Non posso dimenticare ciò che mi disse un giovane di 20 anni: “Padre, Lei non può immaginare quanto io stia soffrendo. Ogni giorno mi sembra di morire a poco a poco, sepolto nel buco dove abito.”

E la salute? Non esistevano medici e ospedali […]. Ogni malattia veniva interpretata e di fatto era una calamità familiare. […].

Molte volte l’educazione alla salute anziché essere programmata a servizio della liberazione del popolo, si trasformava in strumento per conquistare voti politici e aumentare lo sfruttamento e il dominio dei più umili. Quanti voti sono stati comprati in occasione di una malattia, o per facilitare gli studi di un figlio!

E poi un’altra pagina: la pagina tristissima e eroica allo stesso tempo dell’immigrazione italiana in Espirito Santo. Gli uomini che arrivavano qui erano vittime delle ingiustizie più disumane: abbandonati totalmente dal governo italiano, poca assistenza ricevevano dal governo brasiliano. Dovevano costruire tutto con la forza delle braccia, guidati dalla loro vivace intelligenza, accompagnati solo da una fede eroica e da una indomabile volontà di vincere.

[…] Questo il quadro che mi si è presentato nei pochi mesi che ho passato qui, tra la fine del 1963 e l’inizio del 1964.

Confesso che ho sentito forte una chiamata. Mi sembrava di sentire Cristo presente, che mi invitava a fare qualcosa. Mi sembrava di vederlo passare in mezzo a questa gente, come 2000 anni fa passava tra la gente della Palestina, facendo il bene, curando i malati e annunciando ai poveri la buona novella. Lui cosa avrebbe fatto oggi? Sentivo in me intenso il suo appello, un appello personale al quale non potevo restare indifferente: “Vai, io ti mando in mezzo a questo popolo. E’ a loro che dovrai annunciare la Buona Novella.”.

[…] L’attività di Gesù era essenzialmente un’attività di carità: Egli aveva compassione degli uomini, era partecipe della miseria e del dolore del popolo e agiva curando ogni male e ogni malattia.

[…] Ho passato giorni intensi di preghiera e dubbi. Ho consultato il mio padre spirituale. Mia grande preoccupazione era dare una risposta concreta, non solo di buone parole, ma adeguata alla situazione del tempo (siamo nel XX secolo, secolo dell’organizzazione, delle strutture sociali, delle imprese). Così nacque il primo schema della “Fondazione italo-brasiliana per lo sviluppo religioso, culturale, economico e sociale dello stato brasiliano dell’Espirito Santo”. Ecco la ragione dell’interscambio e della presenza degli italiani.

Ero appena arrivato (da due anni) dall’Italia e avevo incontrato una realtà, in Espirito Santo, della quale l’Italia attraverso il suo governo, era stata responsabile con una serie di crimini e ingiustizie (aveva letteralmente abbandonato migliaia di suoi figli, in un’avventura che molte volte si sarebbe trasformata in tragedia).

L’interscambio: non come qualcuno potrebbe interpretare, come forma di neo-colonialismo, ma al contrario, qualcosa che offra la possibilità di recuperare ciò che non fu fatto e che si doveva fare e di restituire ciò che fu ingiustamente tolto in quel tempo. E ancora: l’interscambio come pretesa di un dialogo possibile, sincero e fraterno tra giovani di paesi diversi, alla ricerca di una giustizia più cristiana e più solidale nella lotta a qualunque sfruttamento.

Ero convinto che i giovani dall’Italia potessero offrire una collaborazione sincera alla lotta per la promozione del nostro popolo capixaba, offrendo preparazione tecnico-culturale e ricevendo in cambio l’esperienza di un’umanità saggia e una carica di semplicità che a loro manca così tanto.

La condizione era che non venissero a esportare nulla, ma che si preoccupassero di inserirsi nella vita del nostro popolo, imparando i valori umani che quest’esperienza di dolore avrebbe potuto insegnare.

[…parla qui dei segni di Dio che in momenti decisivi della sua vita si sono manifestati, spesso come lutti improvvisi, che rappresentano le radici del MEPES. Nomina i documenti della Chiesa che hanno confermato questa vocazione]

Allora potresti chiederti: e il pluralismo religioso del MEPES? Deve essere interpretato in questo contesto. Partendo da questa realtà e da questa chiamata di Cristo, abbiamo sentito la necessità di non fare discriminazioni confessionali o religiose. Il nostro messaggio, come pure la Buona Novella di Cristo, è stato annunciato a tutti gli uomini di buona volontà. A tutti coloro che, sensibili a questi problemi di ingiustizia e di peccato, volevano fare qualcosa, donare qualcosa di sé, partecipare a questa lotta per una giustizia più grande.

Abbiamo vissuto ultimamente momenti difficili per il MEPES. Penso che nel prossimo futuro ci aspetteranno altri momenti difficili. Dobbiamo essere preparati. Cristo non ha promesso la gloria e il trionfo agli apostoli, ma li ha preparati alle persecuzioni. Anche noi dobbiamo essere prudenti come serpenti e candidi come colombe.” Radicati e alimentati costantemente dai valori che ho appena presentato, desiderando che ciascuno di voi faccia quest’esperienza e sperando che d’ora in poi non solo io, ma tutti coloro che hanno fatto la storia del MEPES di questi ultimi anni, possano raccontare quanti sacrifici è costata, invio il mio abbraccio amico, insieme al mio grazie per il molto che hai donato in favore della liberazione del nostro popolo, e rinnovandoti il mio impegno di stare a fianco del popolo rurale nella lotte che ci aspettano.

28/1/84

Carissimi amici,

[…] Sono certo che MEPES e AES, con tutte le loro imperfezioni, frutto dei nostri limiti umani, sono risultato della volontà di Dio e Sue ispirazioni.

La nostra risposta alla Sua volontà si è concretizzata prima della pubblicazione della Populorum Progressio, segno che lo Spirito Santo opera nella Chiesa ispirando simultaneamente i vertici e la base, e che i segni dei tempi, interpretati alla luce delle scritture e all’interno di un atteggiamento di docilità allo Spirito, ci portano a vivere, realizzare e far crescere questo lavoro.

Chiaramente ci sentiamo piccolissimi di fronte a problemi immensi e la nostra risposta, ancora timida, esige un impegno totalitario di vita, affinché possiamo essere costruttori della storia che il Signore vuole tracciare per mezzo degli uomini.

La vita del MEPES e dell’AES non è stata facile: quanti avvenimenti hanno prostrato le persone e quante difficoltà siamo stati chiamati a risolvere! Io vi invito a rivedere il nostro passato con gli occhi della fede e a trovare la forza che ci farà costruire sulla roccia il cammino che permetterà di portare avanti la nostra opera.

[…] La battaglia per la Fede, la lotta della Fede per ottenere Giustizia e gli stimoli della Fede e della Giustizia devono penetrare in noi profondamente, affinché la nostra testimonianza di vita, le nostre azioni, non siano altro che l’incarnazione della nostra fedeltà a Cristo in opere che cerchino di attuare la giustizia tra gli uomini. Una giustizia che nasce dall’amore e che attraverso la fraternità vissuta porti gli uomini all’amore di Dio.

MEPES e AES non possono e non devono essere visti sotto un’altra luce e rappresentano un piccolo risultato della nostra fatica nello sforzo di costruire, insieme a Gesù, il Regno di Dio.

Ma c’è un terzo tema che vorrei proporre, che mi sembra anch’esso fondamentale per la nostra riflessione: il tema della “povertà”.

[…descrizione del fenomeno delle favelas per l’insediamento di multinazionali e dell’esodo rurale].

Che fare?

Ci sembra ancora una volta, che il lavoro che il MEPES sta facendo con le sue scuole, con il Centro Comunitario di Salute e con il lavoro nelle comunità di formazione degli agricoltori perché restino nelle campagne e si organizzino per migliorare la produzione e per contare su infrastrutture che permettano loro di vivere una vita dignitosa, sia un tentativo di risposta a questa grande sfida. E’ come la lotta di una formica contro un elefante, ma a me sembra una lotta giusta.

E’ necessario che noi lottiamo con tutte le nostre forze a favore dei poveri, vivendo con loro, partecipando alle loro battaglie e aiutandoli a non lasciarsi conquistare dalle apparenze di una società che viene ad attrarli verso la città, che creerà più poveri, più affamati, più disperati ancora.

[…] Se paragoniamo ciò che stiamo facendo al volume di investimenti di miliardi di dollari che aggregano potenti gruppi di tecnici, scienziati e funzionari, pensiamo di non fare quasi nulla.

Ma ciononostante secondo me siamo sulla strada giusta. Non siamo contrari ai grandi progetti, siamo contro gli abusi che stanno accadendo.

[…] Questi gruppi che si riuniscono intorno al “dio dollaro” per la conquista di nuovi mercati, producono come frutti non solo lo sviluppo della tecnologia e la sua diffusione attraverso le nuove conquiste coloniali, ma anche numerose “favela San Pedro” [favela della periferia di Vitòria, NdR] che stanno sorgendo a sorprendente velocità in America latina e nei paesi del terzo mondo.

Che fare?

Dobbiamo cercare di unire le nostre forze e fare appello alle persone di buona volontà al fine di costruire, con la tenacia dei forti e con la certezza che Dio non abbandona il suo popolo, le nostre “multinazionali dell’amore”.

[…] Sarà possibile? Sarà una semplice utopia?

Di fronte a questi giganti che costruiscono imprese gigantesche e che rappresentano capitali giganteschi, che utilizzano e organizzano gli sforzi di tecnici e scienziati di varie parti del mondo, che lanciano a noi, popolo di Dio, la loro sfida, ci sentiamo piccoli e disarmati come Davide. Per sconfiggere e atterrare il gigante Golia che terrorizzava Israele è bastato un sassolino, lanciato dalla fionda di un adolescente che si presentava a difendere il suo popolo “in nome di Dio”, confidando più nella sua abilità e nella protezione da parte di Dio che nelle armi e nell’esercito del re Saul.

[…] Così anche noi, popolo di Dio […] dobbiamo forse rispondere con i nostri sassolini e le nostre povere fionde, moltiplicando le nostre piccole MEPES e AES e molte altre organizzazioni dove la solidarietà cristiana, la serietà della nostra analisi delle situazioni concrete, la capacità di trovare soluzioni adeguate la competenza di persone serie, fanno nascere amore tra fratelli e la certezza che Dio non abbandona i suoi figli, facendoci Chiesa, la grande “Multinazionale dell’amore” che Gesù ha fondato circa 2000 anni fa.

21/6/1998

Carissimi Fratelli, Parenti, Amici,

[ Scrive da Anchieta in occasione dei 30 anni del MEPES e riassume le tappe del suo viaggio che l’avevano portato a Socopo e in molte città in Italia per incontrare collaboratori, tra cui Carlo Novarese, gli amici dell’AES, e riflettere sulle tappe vissute. Accenna a difficoltà di gestione presenti nell’AES, dal punto di vista finanziario e strutturale.

Ricorda che il progetto “Fondazione Italo-Brasiliana per lo sviluppo religioso, culturale, economico e sociale dello Stato brasiliano dell’Espirito Santo”, da cui presero vita AES e MEPES, fu presentato per la prima volta in occasione della celebrazione della “prima messa” a Padova l’11/12/1965.

Nel 1985 viene inviato a Socopo. Così, prosegue, nasceva un altro dialogo tra Espirito Santo e Piauì e come il primo ponte tra Italia e Espirito Santo, così anche questo fu possibile grazie alle persone (padre Umberto, Mario Zuliani, Umberto Noventa, Sergio Zamberlan, Carla Grossoni, Gabriele Lonardi e altri colontari italiani). Anche in Piauì ci sono stati dei pionieri (padre Umberto, Penha, le suore Teresa, Zilah, Lucilia, Iolanda, Domingos e italiani Josuè e Angela, Mirella, Antonio e Maria Teresa Breviario…)]

E’ nato così un nuovo interscambio che ha unito Padova-Anchieta-Socopo: AES-MEPES-FUNACI.

La mia preoccupazione umana mi porta a fare il possibile per dare continuità a tutto ciò che è stato creato con tanta fatica, con la partecipazione di molte persone e che rappresenta una speranza per molti amici e fratelli. Spero che sotto questa luce si possa capire il mio peregrinare di questi mesi tra MEPES-SOCOPO-AES, Anchieta-Teresina_Italia.

Sento la spinta a insistere. Ho visto il meraviglioso sviluppo del Veneto: è stato il frutto della mentalità seria e laboriosa degli agricoltori veneti che si sono trasformati in piccoli impresari senza perdere le caratteristiche fondamentali di famiglia solida e forte.

[…] Il piccolo agricoltore dell’Espirito Santo, legato alla Scuole Famiglia e che ieri ha verificato il valore delle azioni fatte con lo spirito della “reciprocità” [mutirão], lavoro prestato gratuitamente, in gruppo, per ampliare la Scuola Famiglia di Olivania, ha strette radici con il piccolo impresario veneto

[…] I modelli di sviluppo cercati attraverso l’interscambio devono essere coerenti con la promozione dell’“uomo nella sua totalità e della totalità degli uomini”, basandosi sulla ricerca fatta insieme e sulla conoscenza reciproca.

L’AES da questo punto di vista ha prospettive meravigliose che non sono solo “nuovi progetti” da presentare al Ministero come Ong, ma che hanno come base il privilegiare incontri, visite di persone e di gruppi per uno scambio di esperienze e di idee, per fare insieme azioni efficaci.

Il MEPES e l’AES hanno spazio aperto per realizzare anche in Piauì e in altri stati del Nordest brasiliano, come nel Veneto e in Espirito santo, la “cultura dell’agricoltura”, offrendo all’agricoltore un minimo di condizioni culturali e finanziarie che gli permettano di affrontare le sfide dei fenomeni naturali e far fruttare una terra che è ricchissima, dotata di un clima eccezionalmente favorevole all’agricoltura, con la possibilità di evitare e vincere la fame.

[…] Ecco l’obiettivo della mia lettera: comunicarvi le mie riflessioni e preoccupazioni degli ultimi tempi e chiedervi di accompagnarmi con la vostra solidarietà. Spero che questa non si manifesti solo in forme concrete di appoggio finanziario, ma soprattutto con idee e proposte perché si possa dar continuità a questo interscambio che ha dato abbondanza di frutti buoni, manifestati dalle attività iniziate per integrare il settore pubblico con quello privato e sociale, mettendosi al servizio dell’uomo, per la crescita dell’“uomo nella sua totalità e della totalità degli uomini”.

Credo valga anche qui lo slogan che ha guidato il MEPES in questi 3 anni: Incontrarsi per conoscersi

Conoscersi per camminare insieme

Camminare insieme per crescere

Crescere per amare di più.